Endometriosi: una malattia complessa tra infiammazione, dolore e qualità della vita.

A cura della Dott.ssa MONICA PEROTTI

In collaborazione con L’Altra Medicina Magazine 

Che cosa si intende per “endometriosi”?

Nell’endometriosi il segno distintivo è la presenza, in sede ectopica, di tessuto simile a quello che riveste la cavità uterina (detto endometrio). Questa si accompagna a tessuto fibroso e ad una importante infiltrazione di cellule del sistema immunitario. Può generare lesioni ginecologiche locali ma può colpire più organi creando anche disturbi infiammatori sistemici e una sintomatologia dolorosa fortemente condizionante la qualità di vita della donna. Infatti, benché definita benigna, risulta difficilmente trattabile e complesso l’approccio diagnostico-terapeutico.

 

Quanto è diffusa questa subdola patologia?

L’endometriosi è una malattia comune che colpisce circa il 10% della popolazione femminile raggiungendo il 20-40% nelle donne affette da infertilità e un picco del 70-80% in quelle con dolore pelvico cronico. Si può manifestare in qualsiasi momento dell’età fertile della donna fino alla menopausa. In letteratura però, sono segnalati casi sporadici occorsi prima del menarca (prima mestruazione), dopo la menopausa e persino nell’uomo, per quanto siano casi eccezionali.

 

Quali sono i sintomi più importanti?

Vi è una vasta gamma di presentazioni ma i sintomi più frequenti sono: DISMENORREA (dolore durante la mestruazione), DOLORE PELVICO CRONICO, DISPAREUNIA PROFONDA (dolore durante i rapporti), DISCHEZIA ed EMATOCHEZIA (dolore e perdita di sangue dal retto) e talvolta DISURIA ed EMATURIA (analoghi sintomi a livello vescicale). Talvolta il riscontro di lesioni endometriosiche è occasionale, in donne pauci o asintomatiche che si sottopongono ad accertamenti per infertilità.

Le localizzazioni endometriosiche più frequenti sono le ovaie, dove formano cisti chiamate endometriomi o cisti cioccolato (per il loro caratteristico colore), tube o altre localizzazioni pelvico-peritoneali come i legamenti uterini, il setto retto-vaginale, la vescica e il retto. Quando il tessuto endometriale si sviluppa nella parete dell’utero, si parla di “ADENOMIOSI“. Molto rare sono le ectopie extra-pelviche o addirittura extra-addominali (es. polmone e rene).

Poiché questi foci ectopici rilasciano sangue “simil mestruale” diventano causa di infiammazione cronica, inizialmente locale ma che nel tempo può coinvolgere l’intero organismo, causando segni e sintomi generalizzati. La disregolazione immunitaria e infiammazione generalizzata (low grade inflammation, LGI) predispone queste pazienti a sviluppare patologie oncologiche, cardiovascolari e altre malattie autoimmuni di cui faremo cenno oltre.

È acclarato che l’endometriosi si accompagni a sintomi intestinali come ampiamente dimostrato in letteratura. Le donne che soffrono di endometriosi hanno un rischio 2-3 volte maggiore di sviluppare la Sindrome da Colon Irritabile (IBS) e questo rende ancora più complicato il percorso diagnostico poiché la sintomatologia algica viene spesso confusa con quella di provenienza intestinale. Il segno distintivo della patologia è proprio il DOLORE originariamente localizzato a livello della pelvi che, con il tempo si slega dalla ciclicità mestruale fino a diventare cronico e generalizzato. Il ritardo nella diagnosi può avere conseguenze devastanti per la salute e il benessere delle persone colpite, poiché i danni non si limitano solo all’area pelvica ma gli effetti dell’infiammazione possono raggiungere, nel tempo, persino il cervello portando a sintomi come stanchezza/depressione, difficoltà di concentrazione, attenzione e compromissione della memoria (SINDROME DA SENSIBILIZZAZIONE CENTRALE), tutti sintomi strettamente connessi con la presenza di una neuroinfiammazione. Agli inizi il dolore è nocicettivo, cioè un segnale periferico che indica “danno” ma poi si trasforma in NEUROPATICO indipendente dalla presenza di stimolazioni periferiche. Questo processo di shift è conseguenza della nostra grande capacità adattativa, anche del tessuto nervoso definita «NEUROPLASTICITÀ o NOCIPLASTICITÀ». 

La persistenza del dolore è responsabile: di una riduzione della soglia centrale del dolore, della formazione di vere e proprie autostrade del dolore (con vie polisinaptiche a bassa resistenza), reclutamento via via maggiori di aree associative tra cui il lobo limbico (che spiega la risposta emotiva di ansia-depressione) e iperattività del sistema adrenergico che esaspera le modificazioni neurovegetative con reazioni d’ansia (PSICOPLASTICITÀ) e atteggiamento muscolare e posturale di “difesa” con ipertono. L’aumento della connettività tra le aree coinvolte nella percezione-elaborazione del dolore avviene in maniera proporzionale alla quantità di tempo in cui il sintomo è presente e risente fortemente del ritardo nella diagnosi. La persistenza della sintomatologia finisce per generare un circolo vizioso creando un comportamento di malattia (ILLNESS BEHAVIOR) che deteriora la qualità della vita delle pazienti.

Meccanismo analogo viene invocato anche in altre sindromi dolorose fra cui: Fibromialgia, Sindrome da Stanchezza Cronica, MCS, IBS, emicrania, sindrome dolorosa mio facciale, sindrome delle gambe in movimento, dismenorrea primaria, sindrome uretrale femminile/cistite interstiziale, ecc.

Nelle sindromi dolorose regionali si somma anche un coinvolgimento algico di organi vicini con un meccanismo definito di “CROSS-TALK” cioè, dialogo neurochimico incrociato che contribuisce a spiegare la perdita progressiva della localizzazione d’organo e quindi anche del dolore.

Attraverso studi di neuroimaging funzionale (fMRI) è stato dimostrato che pazienti con dolore pelvico cronico manifestano, nelle regioni che elaborano la percezione algica ed il vissuto emotivo, alterazioni nella risposta cerebrale con netta analogia con quelle riscontrate nelle pazienti fibromialgiche.

 

Quali sono  le lesioni tipiche dell’endometriosi?

Secondo la localizzazione e la fisiopatologia delle lesioni endometriali si classificano in: lesioni peritoneali superficiali (SPE), lesioni a infiltrazione profonda (DIE) ed endometrioma ovarico (OMA). Quest’ultima è la forma più frequente e si riscontra nel 50% delle donne infertili.

Quadro peculiare è l’adenomiosi che, poiché consiste nella presenza ghiandole endometriali e stroma nella muscolatura uterina, determinando anche modificazioni del ciclo mestruale, fra cui copiosi sanguinamenti mestruali che si aggiungono alla già citata sintomatologia algica.

L’endometriosi a infiltrazione profonda (DIE) presenta un istotipo e comportamento diverso rispetto a quella ovarica e peritoneale. DIE, infatti ha una maggiore capacità di adattamento e tolleranza immunologica che le rende più resistenti anche in un microambiente ostile, come la vagina o l’intestino, generando un comportamento invasivo e una prognosi peggiore rispetto alle altre localizzazioni. Inoltre, in particolare le DIE del retto mostrano una maggiore espressione del recettore VEGF-A e VEGF 2 (fattori di crescita vascolare), da cui ne deriva una maggiore densità vascolare che le rende più suscettibili al sanguinamento, alla crescita e complica l’approccio chirurgico di resezione.

 

Perché la diagnosi è così difficile e spesso tardiva?

La durata di questo periodo di “zona grigia” è cruciale e si ritiene che tra i primi sintomi di allarme e la diagnosi corretta passino mediamente dai 6 ai 9 anni.

Il ritardo diagnostico è conseguenza di più fattori: il sintomo dolore è aspecifico e non esclusivo della patologia endometriosica e inoltre, alcune pazienti sono asintomatiche o paucisintomatiche (con scarsa sintomatologia) per cui la diagnosi è frutto di occasionali accertamenti per altre cause, tra cui frequentemente l’infertilità. Infine, la diagnosi definitiva è solo istologica ed il prelievo viene eseguito durante laparoscopia esplorativa e questo complica ulteriormente l’inquadramento della paziente che deve sottoporsi ad intervento chirurgico. Oggi con i moderni apparecchi ecografici, ed in mani esperte,  vi è un’alta approssimazione diagnostica senza ricorrere necessariamente alla laparotomia esplorativa.

 

Quali le cause?

Diverse ipotesi patogenetiche sono state avanzate negli anni. L’ipotesi più accreditata, come già detto, è la mestruazione retrograda con disseminazione di cellule endometriali in cavità peritoneale attraverso le tube. Le mestruazioni retrograde sono un evento fisiologico che si verifica durante lo sfaldamento endometriale, ma nelle donne con endometriosi, esisterebbero specifiche condizioni predisponenti, sia a carico delle cellule sfaldate che del sistema immunitario, che le renderebbero vulnerabili a sviluppare la malattia. Donne che presentano lievi malformazioni dell’apparato genitale che interferiscono con il regolare deflusso del sangue mestruale hanno una maggiore incidenza di endometriosi che invece è assente negli animali che non hanno la nostra ciclicità mestruale. Questo confermerebbe il ruolo della mestruazione retrograda nello sviluppo della malattia. La cosa però si complica, poiché non tutte le localizzazioni ectopiche endometriali trovano una spiegazione in questa ipotesi. Oggi si ritiene che possano sussistere anche processi patogenetici differenti tra cui la metaplasia celomatica (trasformazione del mesotelio peritoneale) o la persistenza di residui Mülleriani (da cui origina embriologicamente l’apparato genitale femminile) in cui si svilupperebbero foci endometriali ectopici. Questi ultimi 2 meccanismi permetterebbero di spiegare i casi, peraltro rari, di endometriosi nelle adolescenti prima del menarca, nei feti femmina, nelle donne senza utero (Sindrome di Rokitansky) e negli uomini.

Come già accennato oltre all’aspetto squisitamente meccanico della mestruazione retrograda, perché si sviluppi l’endometriosi devono essere presenti altri fattori predisponenti molto complessi ed esclusivi per ciascuna paziente.

Infatti, la teoria della mestruazione retrograda non spiega come mai, nonostante questo fenomeno sia presente in quasi tutte le donne, solo 1 su 10 sviluppa la malattia. La presenza di anomalie del sistema immunitario, che non impedirebbe alle cellule endometriali extra-uterine di sopravvivere ed impiantarsi fuori dell’utero, rappresenta un elemento chiave nello sviluppo della malattia. Infatti, sarebbero state identificate anomalie a carico di tutti i tipi di cellule immunitarie compresa una ridotta funzione citotossica delle cellule natural killer, aumento del numero dei neutrofili e dei macrofagi peritoneale e alterata presenza di linfociti T e B. Indagando l’ambiente peritoneale delle pazienti affette da endometriosi sono stati riscontrati anche livelli aumentati di una serie di autoanticorpi che potrebbero diventare potenziali biomarcatori per diagnosticare l’endometriosi (anticorpi anti-endometriali e l’interleuchina-6) anche se l’accuratezza diagnostica non ha ancora sostituito la chirurgia. Le diverse anomalie del sistema immunitario rilevabili nelle pazienti con endometriosi sarebbero anche il trait d’union che spiegherebbe il più frequente riscontro di altre malattie autoimmuni in queste pazienti. Fra quest’ultime si segnalano il Lupus Eritematoso Sistemico, Sindrome di Sjogren, Artrite Reumatoide, Tiroidite Autoimmune, Celiachia, Sclerosi Multipla e Malattia Intestinale Infiammatoria. Poiché l’endometriosi è una malattia famigliare, con potenziale ereditabilità, sono stati condotti numerosi studi per indagare l’associazione tra geni correlati alle malattie autoimmuni ed endometriosi che hanno rivelato anomalie geniche comuni nell’Artrite reumatoide ed endometriosi. Stessa cosa vale per gli alleli HLA associati ad entrambi e a tutte le malattie autoimmuni in generale.

Va anche ricordato che sia l’endometriosi che altre patologie autoimmuni come la sclerosi multipla sono fortemente condizionate dagli ormoni (estrogeno-dipendenza) ed è stato scoperto che fattori ormonali giocano un ruolo importante nell’aumentare l’attività o la gravità di entrambi le patologie. L’utilizzo di agonisti del GnRH e FSH ricombinante previsti nei trattamenti di riproduzione assistita, utilizzati anche nell’endometriosi ma con modalità differenti, hanno aumentato il rischio di 7 volte di riaccensione di recidive nelle pazienti con sclerosi multipla.

Per capire il ruolo del sistema immunitario nel quadro cinico dell’endometriosi bisogna fare riferimento soprattutto al comportamento anomalo dei macrofagi peritoneali. Essi appaiono più numerosi e disfunzionali rispetto alla norma e sarebbero proprio quest’ultimi centrali nella fisiopatologia della malattia e spiegherebbero molta parte della sintomatologia dolorosa. I macrofagi sono la prima linea difensiva del nostro corpo ma, in un secondo momento, agirebbero anche come pompieri che spengono l’incendio dell’infiammazione. Se però la spina irritativa, rappresentata dal sangue mestruale e accumulo di sostanze pro-infiammatorie (citochine e istamina) o fattori di crescita (IgF-1 e NGF che è il fattore di crescita dei nervi) permane nel tempo finiscono per assumere un comportamento aberrante ed un fenotipo disfunzionale definito TAM (macrofagi tumore-associati) perché vennero per la prima volta isolati nei tumori.  I macrofagi sono capaci di modificare il loro fenotipo in base ai tessuti che li ospitano e alle informazioni che arrivano a loro e possono quindi diventare complici della proliferazione, angiogenesi ed invasione favorendo crescita e diffusione delle cellule endometriosiche, proprio come fanno nei tumori. Inoltre, poiché rilasciano grandi quantità di NGF stimolano la neurogenesi contribuendo sensibilmente alla sintomatologia algica. I macrofagi costituiscono una rete altamente interconnessa distribuita in tutto il corpo e tra essi la microglia che pattuglia il sistema nervoso. Quando i macrofagi di un distretto si attivano durante un processo infiammatorio, allertano tutti gli altri distribuiti nell’intero organismo compreso la microglia. Questo tam-tam genera, a livello centrale, neuroinfiammazione responsabile della sindrome da “SENSIBILIZZAZIONE CENTRALE”.

Un punto fondamentale di collegamento tra endometriosi e malattie autoimmuni appare essere il microbioma intestinale che governa sia la disregolazione ormonale che immunitaria entrambi fattori scatenanti principali dell’endometriosi. Il microbiota intestinale, infatti, gioca un ruolo rilevante in diversi processi biologici: immunità, metabolismo, infiammazione, regolazione ormonale e persino salute cerebrale. Profili disfunzionali del microbiota intestinale sono stati collegati alla compromissione dell’immunosorveglianza, dei profili delle cellule immunitarie e aumento delle citochine pro-infiammatorie, tutti fattori noti nella patogenesi dell’endometriosi.

Infine, estrogeni e progesterone sono noti per mediare il dialogo bidirezionale tra ospite e microrganismi ma sappiamo anche essere fortemente condizionati dalla composizione del microbiota attraverso un pool microbico definito estroboloma e testroboloma. La disbiosi del microbiota intestinale può quindi portare ad un aumento degli estrogeni circolanti attraverso il circolo enteroepatico, e contribuire all’endometriosi. I livelli ematici circolanti degli ormoni sessuali sarebbero fortemente condizionati dalla composizione microbica anche attraverso la modulazione dei sali biliari. Infine, il microbiota influenza l’elaborazione del dolore viscerale e neuropatico. Può indurre un fenotipo microgliale patogeno oltre che agire indirettamente attraverso la modulazione dei neurotrasmettitori. Inoltre, i batteri Gram-negativi, attraverso la liberazione di sostanze infiammatorie tra cui il lipopolisaccaride (LPS), sono ritenuti una delle maggiori cause d’infiammazione generalizzata. L’endotossina (LPS) è un componente della parete cellulare dei batteri Gram-negativi che, nelle pazienti endometrosiche, è stata dosata in maggiori concentrazioni (4-6 volte superiore) sia nelle lesioni endometriosiche, nel sangue mestruale che nelle feci, supportando l’ipotesi di un coinvolgimento del microbiota disbiotico e dell’infiammazione nel processo patogenetico dell’endometriosi. Diversi studi hanno già evidenziato una correlazione tra il microbiota intestinale e l’endometriosi anche se non è possibile delineare un pathway microbico specifico.

 

Come può l’ambiente influenzare l’insorgenza della malattia?

Attraverso una varietà di meccanismi, tra cui modificazioni epigenetiche, alterazioni del microbioma e induzione di infiammazione. È proprio su questi tre elementi che si può impostare una terapia di supporto in queste pazienti.

 

Fattori ambientali esterni

Recenti studi hanno indagato il campo della epigenetica, vale a dire del sistema di controllo dell’espressione genetica, sottolineando peculiari differenze nelle donne affette da endometriosi. L’epigenetica è fortemente condizionata da eventi interni o esterni che ai fini di adeguarci alle condizioni in cui viviamo, modificano la lettura del nostro genoma. Se questo appare come un vantaggio adattativo potrebbe rappresentare anche un pericolo se le informazioni che arrivano dall’ambiente sono distorte. Se soffriamo di alcune malattie informiamo e condizioniamo tutto il nostro corpo e altrettanto accade se viviamo in un ambiente inquinato.

Attraverso modificazioni dell’epigenetica molti inquinanti ambientali potrebbero agire causando endometriosi, ne è dimostrazione la presenza della malattia in feti femmina sia in animali da esperimento che nell’uomo.

L’elevata prevalenza di endometriosi nelle giovani donne ha spinto la ricerca ad indagare sulla esposizione a diversi fattori di rischio già nelle prime fasi di vita (early life stage) partendo dall’esposizione in utero e durante l’adolescenza (in linea con l’ipotesi di Barker sull’origine fetale delle malattie). L’epoca fetale rappresenta una delicata finestra di maggiore vulnerabilità ad inquinanti ambientali, comportamenti materni errati o situazioni aberranti potrebbero determinare modificazioni epigenetiche a carico del feto predisponenti la malattia. Ad esempio, è stato dimostrato che nati prematuri sviluppano più frequentemente endometriosi e anche il basso peso alla nascita si correla con una maggior incidenza di endometriosi. Attenzionati sono stati gli interferenti endocrini capaci di influenzare la crescita fetale e lo sviluppo del sistema riproduttivo.

Gli IE comunemente presenti nell’ambiente sono tanti: bifenili policlorurati e polibromurati; diossin-like; materie plastiche come il bisfenolo A o i plastificanti come ftalati; pesticidi quali metossicloro, clorpirifos e il DDT; vinclozolin che è un fungicida; composti farmaceutici come dietilstilbestrolo (DES) e infine i metalli pesanti. Studi sui roditori hanno riportato che l’esposizione alla diossina durante la vita intrauterina e in età adulta rappresenta un potenziale trigger per lo sviluppo dell’endometriosi, sia attraverso effetti immunologici che ormonali.

Nell’endometriosi sono state individuate modificazioni epigenetiche specifiche fra cui la presenza di microRNA (piccole molecole di RNA non codificanti che regolano il post-trascrizionale) che sono risultati significativamente alterati. 109 miRNA testati sulla saliva, hanno mostrato grande specificità e sensibilità (rispettivamente 96,7%, 100%) addirittura nella diagnosi di endometriosi.

Da tutte queste informazioni nascono i consigli di consumare cibo da filiera corta e tracciabile, seguendo stagionalità e territorialità allo scopo di ridurre, il più possibile, l’esposizione agli IE.

 

Fattori ambientali interni

Un altro fattore di rischio altamente indagato è la resistenza insulinica. Donne con un’alimentazione ricca di cibi ad alto indice glicemico hanno un rischio maggiore di sviluppare endometriosi poiché gli zuccheri raffinati aumentano: lo stress ossidativo, i livelli di marcatori dell’infiammazione, i  fattori di crescita insulino simile (IGF-1) e di conseguenza creano condizioni predisponenti la malattia nonché peggiorano i sintomi dell’endometriosi qualora già presente. Livelli di insulina, che si accompagnano alla insulino-resistenza, diminuiscono a loro volta la quantità di SHBG (proteina trasportatrice di ormoni sessuali) causando una maggiore circolazione di ormoni in forma attiva. Inoltre, l’insulina incrementa l’attività dell’enzima aromatasi con un aumento della produzione di estrogeni. È strategica quindi un’alimentazione con pochi carboidrati per controllare sia la progressione che i sintomi della malattia. Diversi Autori hanno dimostrato che pazienti sottoposte a dieta low carb (quantità di carboidrati del 30%), dopo ciclo di stimolazione ovarica, producevano una maggiore quantità di ovociti maturi rispetto alle stesse senza dieta low carb ed inoltre vi era predittività nei valori ematici del metabolismo del glucosio e numero di ovociti dopo stimolazione ovarica in PMA.

 

Come unire tutte le informazioni?

A questo punto è necessario unire i puntini, cioè, collegare tutta questa serie di informazioni che abbiamo raccolto. Tutto si collega con la TEORIA UNIFICANTE (The genetic epigenetic theory) che afferma vi sarebbe la somma di elementi genetici predisponenti + differenti e molteplici insulti a determinare l’evoluzione verso LESIONI FENOTIPICHE comprensibilmente DIVERSE. Ogni lesione sarebbe quindi il frutto di un processo peculiare e originale, diverso in ciascuna paziente, poiché diverse sono le predisposizioni genetiche e differenti gli insulti ambientali e cui ciascun di noi è sottoposto. Questo causerebbe differenti biotipi finali di malattia. 

All’inizio sia che sia una cellula di impianto o sia metaplastica, si genererebbe un’endometriosi sottile che non è ancora considerata malattia fino a quando non insistono insulti ambientali interni o esterni che, in un terreno predisposto, determinerebbero l’insorgenza della malattia finale. Molti autori ritengono che le lesioni sottili sarebbero molto diffuse ma nella maggior parte delle volte involverebbero fino a scomparire. 

 

Esistono rimedi naturali per contrastarla? E se sì quali?

Poiché l’endometriosi è considerata una malattia infiammatoria ed estrogeno-dipendente, lavorare sullo stile di vita rappresenta un intervento basilare. In particolare, l’intervento nutrizionale e l’attività fisica rappresentano una strategia importante non solo preventiva ma anche per migliorar la qualità di vita delle donne con endometriosi. Un corretto life style ha un importante effetto antinfiammatorio che influisce positivamente sulla percezione e gestione del dolore. Inoltre, l’attività fisica regolare, migliorando la circolazione periferica, la produzione di endorfine e di sostanze antinfiammatorie, aiuta moltissimo in tutte le patologie algiche. È stato dimostrato che nelle donne con endometriosi che svolgono regolare attività fisica, la percezione e gestione del dolore è migliore.

Le terapie mediche e chirurgiche convenzionali sono essenziali poiché riducendo la sintesi endogena di ormoni, a volte rallentano la crescita e l’evoluzione della malattia e nei casi più fortunati la congelano ma non sono in grado di curare la malattia. Quindi nelle donne affette da endometriosi risulta molto utile l’effetto sinergico di molti integratori con spiccate proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, antiproliferative e immunomodulanti.

Al riguardo hanno dimostrato una certa efficacia la somministrazione di: vitamina D, A, C ed E. Una recente meta-analisi sui livelli ematici di vitamina D delle pazienti con endometriosi ha dimostrato che le donne affette presentavano livelli più bassi rispetto ai controlli ed è stata osservata una relazione negativa tra livelli di vitamina e gravità dell’endometriosi. Stesso ragionamento vale anche per la vitamina E e lo zinco.

Anche l’integrazione di omega-3, quercetina, partenio, vitamine del gruppo B (soprattutto B 3 e B 12), zinco, selenio, magnesio, propoli, curcumina, Nacetilcisteina, resveratrolo, acido alfa lipoico, epigallocatechina-3-gallato ed infine i probiotici hanno mostrato di volta in volta una qualche efficacia. Ovviamente esistono integrazioni che si sono mostrate più incisive di altre, soprattutto nella riduzione del dolore pelvico. Tra queste l’olio di pesce (OMEGA 3) tanto più se combinato con vitamina B12. Un’ampia revisione ha riportato un effetto positivo degli acidi grassi omega 3 sulla dismenorrea, con una riduzione dell’intensità e durata del dolore paragonabile a quello di antidolorifici. Noto è anche l’effetto antidolorifico, antinfiammatorio della curcumina, in grado di diminuire anche la produzione di estradiolo oltre che di ridurre l’invasione, adesione e l’angiogenesi nelle lesioni endometriali.  La QUERCITINA inibisce la proliferazione, induce l’arresto del ciclo cellulare nelle cellule endometriotiche e mostra effetti antiestrogenici e progestinici. N-ACETILCISTEINA (NAC) ha effetti antiossidanti e se combinato con l’assunzione dell’acido alfa-lipoico e bromelina ha ridotto significativamente il dolore nelle donne con endometriosi. RESVERATROLO è noto per gli effetti antiossidanti, antinfiammatori ma aiuta anche a controllare la crescita delle lesioni endometriosiche ed il dolore.

Ricordiamoci che alte dosi di vitamina C ed E hanno effetti collaterali importanti: esempio vitamina C (>2000 mg/day) può causare diarrea, crampi addominali, gonfiore, nausea, vomito e calcoli renali, mentre alte dosi di vitamina E (>1000 mg/day) incrementano il rischio di sanguinamento (effetto anti-coagulante) e il rischio di difetti al neonatali. Perciò, quando si usa l’integrazione di vitamina C ed E è importante considerare gli effetti avversi dell’endometriosi, valutando il giusto dosaggio.

Per altri integratori come il MAGNESIO esiste poca letteratura ma la sua carenza è stata riscontrata nella sindrome premestruale ed è stato osservato che le tube di Falloppio, nelle  donne con endometriosi, presentano spasmi e contrazioni irregolari. Lo ZINCO invece è una molecola di segnale intracellulare e agente antinfiammatorio che ha un ruolo essenziale nello stress ossidativo e nelle funzioni immunitarie, peraltro è stato dimostrato che donne con endometriosi hanno più frequentemente livelli di zinco, sia ematici che nel liquido follicolare ovarico, più bassi.

Infine, i PROBIOTICI producono beneficio nelle pazienti endometriosiche nella misura in cui è coinvolto l’intestino.

 

L’alimentazione può influire?

Gli interventi dietetici hanno dimostrato risultati promettenti nel migliorare i sintomi associati all’endometriosi, poiché possono influenzare in modo significativo la progressione e lo sviluppo della patologia agendo su diversi meccanismi, tra cui il metabolismo degli ormoni steroidei, la regolazione del ciclo mestruale, la riduzione dello stress ossidativo, il controllo della contrazione muscolare e la modulazione dell’infiammazione. Una revisione pubblicata nel 2021 ha messo in correlazione varie tipologie di diete/integrazione e il loro effetto sul dolore associato all’ endometriosi.

Questo approccio, in particolare per la gestione del dolore, ha mostrato alta efficacia. Per quanto riguarda i tipi di dieta sono risultate efficaci: la dieta mediterranea, a basso contenuto di FODMAP, a basso contenuto di nichel; quella priva di glutine ed infine la low carb diet. Tutti gli interventi nutrizionali ed integrativi, in questa revisione, avevano comunque un impatto migliorativo sulla qualità di vita delle pazienti e sul controllo del dolore ma parimenti non è stato identificato un approccio dietetico univoco, efficace ed applicabile a tutti i casi. Anche le ultime linee guida EHSRE sull’endometriosi hanno evidenziato che l’approccio dietetico, per essere utile, deve essere personalizzato.

La presenza di sintomi gastrointestinali, come gonfiore, diarrea o stitichezza, è comune nelle donne con endometriosi, tanto che l’IBS potrebbe essere considerata in alcuni casi una manifestazione della patologia stessa. Studi evidenziano che circa il 90% delle donne con endometriosi, confermata istologicamente, presenta sintomi gastrointestinali, quali gonfiore, flatulenza e dolore addominale. In questo contesto, una dieta a basso contenuto di FODMAP potrebbe rappresentare un efficace approccio nutrizionale per alleviare tali disturbi. L’acronimo FODMAP (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili) identifica un gruppo di carboidrati a catena corta presenti in diverse varietà di frutta, verdura e cereali. Queste molecole vengono assorbite solo parzialmente nell’intestino tenue e, una volta raggiunto il colon, subiscono una rapida fermentazione ad opera della flora batterica. Oltre alla fermentazione, i FODMAP esercitano un effetto osmotico significativo, aumentando il contenuto di acqua nell’intestino tenue e nel colon. Questo effetto, combinato con la produzione di gas, può determinare una distensione del lume intestinale, provocando dolore e gonfiore, specialmente nei pazienti con ipersensibilità viscerale, caratteristica distintiva dell’IBS e spesso riscontrabile anche nelle donne con endometriosi.

La dieta a basso contenuto di FODMAP non si limita solo alla gestione dell’IBS, ma copre anche condizioni associate, come l’intolleranza al lattosio, l’allergia al nichel e la sensibilità al glutine (inclusa la celiachia e la non-celiac gluten sensitivity), tutte spesso riscontrate in donne con endometriosi. Tuttavia, è essenziale monitorare la durata di questa dieta: un uso prolungato può influire negativamente sul microbiota intestinale. Per questo motivo, il percorso prevede tre fasi: restrizione (riduzione iniziale di FODMAP), reintroduzione (introduzione graduale degli alimenti per testarne la tolleranza) e personalizzazione (esclusione definitiva dei cibi che aggravano i sintomi). E’ consigliabile un approccio Low Fodmap, modulato con precisione e con adeguati test per non diminuire la diversità microbica, ai fini di migliorare il discomfort intestinale, ripristinare l’integrità della barriera intestinale e ridurre la produzione di molecole ad azione infiammatoria

L’alimentazione ha un ruolo fondamentale non solo nella gestione dei sintomi gastrointestinali, ma anche nell’influenzare i fattori ormonali e infiammatori legati all’endometriosi. La patologia è caratterizzata da livelli elevati di estrogeni circolanti e da uno stato infiammatorio cronico. Aumentare il consumo di fibre alimentari (presenti in frutta, verdura e cereali integrali) può ridurre le concentrazioni di estrogeni nel sangue del 10-25% e contrastare l’infiammazione grazie alla presenza di polifenoli.

Esistono studi interessanti sia per ciò che riguarda la dieta mediterranea che la dieta low carb o cheto. Queste ultime sono molto utili soprattutto per controllare la disregolazione dei livelli insulinici, oltre a un eventuale eccesso di peso. Il tessuto adiposo è infatti un grande produttore di fattori pro-infiammatori, ROS ed estrogeni attraverso l’aromatasi di cui è ricco. Inoltre, una dieta chetogenica può controllare i livelli elevati di glicemia fattore predisponente alla disbiosi intestinale.

La dieta “low carb”, è un piano alimentare a ridotto contenuto in carboidrati ma normoproteica. Le proteine hanno un ruolo di regolazione dello stato infiammatorio sistemico poiché sono i mattoni per la risposta immunitaria ricoprendo un ruolo fondamentale nella fertilità essendo elemento centrale per lo sviluppo della cellula uovo. Il fabbisogno giornaliero di proteine per un adulto è di circa 0,8-1,2g/kg di peso corporeo, quindi il 25-30% delle calorie totali della dieta. Le proteine di origine animale contengono tutti gli aminoacidi, in particolare tutti gli essenziali, che l’organismo non è in grado di sintetizzare. Sono per questo definite proteine nobili o alto valore biologico. Un’altra differenza fra proteine vegetali e animali riguarda il contenuto di vitamine, sali minerali, grassi e fibre. Le fonti vegetali contengono molta fibra, alto contenuto di sali minerali e alto potere saziante ma sono carenti di ferro, vitamina B 12, aminoacidi essenziali, grassi saturi e colesterolo. È importante quindi assumere entrambe le fonti proteiche in maniera equilibrata. Le proteine dovrebbero essere presenti in ogni pasto anche negli spuntini anche se in quantità ridotta, ciò permette di controllare i livelli di glucosio nel sangue riducendo l’indice glicemico di ogni pasto. La connessione tra assunzione di proteine animali, rischio di assunzione di estrogeni e antibiotici presenti negli alimenti di origine animale rende importante la scelta della fonte proteica. In caso di endometriosi il consumo di carne rossa e affettati andrebbe limitato. Un elevato consumo di carne rossa è associato a un rischio maggiore di sviluppare endometriosi e a un peggioramento dei suoi sintomi, in particolare del dolore. Questo effetto è legato a diversi fattori: Grassi saturi, noti per le loro proprietà pro-infiammatorie di cui è ricca la carne rossa, Aumento degli estrogeni poiché la carne rossa riduce la sintesi di SHBG, Aumenta la sintesi di prostaglandine (sostanze infiammatorie); Ferro eme che contribuisce allo stress ossidativo.

Lo stesso discorso, ovviamente, vale per i prodotti industriali a base di carne processata. Da evitare anche le frattaglie in quanto presentano un elevato contenuto di pesticidi e policlorobifenili (PCB). Conviene quindi prediligere, come fonte proteica animale, il consumo di uova, pesce pescato e carne bianca purché proveniente da allevamenti a terra biologici e non intensivi. Carne bianca non consiste solo nel pollo ma ci sono include anche tacchino, coniglio, quaglie, anatra, etc. Il pesce rappresenta un’ottima fonte proteica per le donne con endometriosi grazie al suo contenuto di acidi grassi omega-3, noti per le loro proprietà antinfiammatorie. Oltre agli omega-3, il pesce e i prodotti ittici forniscono altri nutrienti fondamentali: Proteine ad alto valore biologico, Vitamina D, Zinco e selenio, utili per il controllo dello stress ossidativo e per la regolazione dell’infiammazione. Il Pesce pescato è preferibile al pesce di allevamento per ridurre l’esposizione a contaminanti e per la stessa ragione sono da prediligere i pesci di piccola taglia. Salmone, pesce spada e tonno dovrebbe quindi essere limitati.

Invece, non sembra esserci una correlazione tra il consumo di frutti di mare e il rischio di endometriosi, quindi, possono essere inclusi nella dieta in modo equilibrato.

Il consumo di latticini in relazione all’endometriosi è un tema controverso e il loro consumo dovrebbe essere valutato con attenzione. I rischi sono legati all’accumulo di estrogeni e di contaminanti, tra cui ormoni della crescita, antibiotici, pesticidi e composti chimici. C’è comunque una differenza tra i latticini: quelli di origine vaccina contengono la β-caseina A1 associata a livelli di infiammazione più elevati, mentre i prodotti caseari di capra, pecora e bufala contengono β-caseina A2 che rappresenta un’alternativa migliore grazie al minore impatto infiammatorio.

Le uova sono ricche di lecitine, che contribuiscono a migliorare il profilo lipidico aumentando l’attività del colesterolo HDL (il cosiddetto “colesterolo buono”).

Gli alimenti vegetali rappresentano una valida alternativa o integrazione alle proteine animali. Tra i più ricchi i Legumi, Pseudo-Cereali (grano saraceno, quinoa, amaranto), Noci e semi, Soia (Tofu, tempeh e latte di soia), che contengono proteine complete e fitoestrogeni, utili in alcune condizioni ormonali. I legumi contengono anche una quota di carboidrati per cui sarebbe preferibile consumarli con un’abbondante porzione di verdure non amidacee, aggiungendo olio extravergine di oliva e se possibile dei semi.

Ricordiamo l’importanza di consumare sempre cereali integrali per il loro alto contenuto di fibre, minerali e vitamine tra cui: ferro, zinco, rame e magnesio, vitamina E, vitamine del gruppo B e una moltitudine di altri composti bioattivi come flavonoidi, carotenoidi. Il germe contiene grassi insaturi, vitamine del gruppo B, E, selenio, antiossidanti, steroli vegetali e altri composti bioattivi.

La soia è sempre stata oggetto di attenzione per il suo impatto sulla salute, grazie alla sua versatilità e alle proprietà nutrizionali. Tra i numerosi benefici attribuiti alla soia troviamo il supporto al sistema cardiovascolare (riduzione del colesterolo e della pressione arteriosa), la prevenzione di alcune neoplasie, il controllo del diabete, la preservazione della salute ossea e il miglioramento dei sintomi della menopausa. Questi benefici derivano, in parte, dai composti fitochimici contenuti nella soia, in particolare dagli isoflavoni, che hanno dimostrato proprietà antiossidanti e regolatrici dell’attività estrogenica. Gli isoflavoni, come genisteina e daidzeina, appartengono alla classe dei fitoestrogeni, composti vegetali con una struttura chimica simile agli estrogeni umani. Questi composti possono legarsi ai recettori per gli estrogeni (alfa e beta) presenti nei tessuti corporei, esercitando effetti estrogenici o anti-estrogenici selettivi, con una predilezione per i recettori beta. Gli isoflavoni possono anche influenzare il metabolismo degli estrogeni endogeni, modulando l’attività degli enzimi coinvolti e contribuendo al bilancio ormonale generale. Tradizionalmente, si sconsigliava alle donne con endometriosi di consumare soia o altri alimenti ricchi di fitoestrogeni, a causa della natura estrogeno-dipendente della patologia. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che gli isoflavoni possono avere un duplice effetto: Effetti positivi, poiché legandosi ai recettori beta, possono ridurre o bloccare gli effetti potenzialmente dannosi degli estrogeni endogeni più potenti. Hanno inoltre, proprietà antinfiammatorie e possono contribuire alla modulazione ormonale, migliorando il bilancio estrogenico. Tra gli effetti negativi: in alcune donne, possono accentuare i sintomi dell’endometriosi se aumentano l’attività estrogenica complessiva. Infatti, gli effetti dei fitoestrogeni variano significativamente da persona a persona. Tra i fattori che influenzano la risposta vi è la composizione del microbiota intestinale che gioca un ruolo cruciale nel trasformare i fitoestrogeni modificandone le l’efficacia e gli effetti. Un altro elemento differenziale è il livello di partenza degli estrogeni endogeni di quel soggetto, cioè il bilancio ormonale individuale. Infine, l’effetto della soia dipende molto dal contesto alimentare generale e dalla combinazione con altri nutrienti. In sostanza per le donne endometriosiche, l’assunzione di alimenti contenenti fitoestrogeni, inclusa la soia, dovrebbe essere attentamente personalizzata.

Infine, ricordiamoci che esistono alimenti pro infiammatori che causano un aumento del dolore pelvico: l’alcol, elevato consumo di carni rosse da allevamento intensivo, grassi trans e cereali ad alto indice glicemico, che quindi dovrebbero essere altamente sconsigliati.

 

Terapie convenzionali per la cura dell’endometriosi

La gestione dell’endometriosi continua a rappresentare una sfida significativa, data la complessità della patologia e la limitata efficacia delle terapie attuali. Come sottolineato, i farmaci allopatici, pur essendo utili nel controllo dei sintomi, possono comportare effetti collaterali rilevanti, che spingono le pazienti a interrompere il trattamento, in particolare in presenza di desiderio di gravidanza. L’interruzione dei farmaci comporta però il rischio di recidiva dei sintomi e della progressione delle lesioni endometriosiche. I trattamenti allopatici comprendono terapie sintomatica per ridurre la dolorabilità, e la ormono-terapia per inibire la produzione degli estrogeni e impedire l’ovulazione. Si prescrivono quindi terapie ormonali continue a base progestinica (dienogest o il noretisterone acetato) che inducono SOPPRESSIONE OVARICA.

Meno in uso, soprattutto a lungo termine, sono gli AGONISTI DEL GNRH perchè associati ad effetti collaterali importanti (sintomi menopausali, insonnia, vampate di calore, osteoporosi) oltre che generare una situazione di disbiosi endometriale poco funzionale alla guarigione.

Ma perché la terapia ormonale è poco efficace? la risposta ci viene dagli studi di intra criminologia. Quest’ultima consiste nello studio del comportamento e sensibilità di ogni cellula ai diversi ormoni che ha dimostrato una grande variabilità tra le cellule endometriali di ciascuna paziente. Questo, in parte, giustificherebbe la diversità di risposta alla terapia ormonale che si riscontra nella pratica clinica.

Ancora più complesso è il trattamento del dolore associato all’endometriosi. Opzioni farmacologiche come i FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei), non sono esenti da effetti collaterali significativi, specialmente se utilizzati in modo cronico. Questi effetti collaterali includono danni alla mucosa gastrointestinale, tossicità epatica e renale e alterazioni del microbiota intestinale, che a loro volta possono influire sul sistema immunitario e sulla motilità intestinale. Infine, il trattamento con analgesici oppiacei è stato considerato, ma con risultati limitati. In confronto, i cannabinoidi sembrano avere un effetto analgesico più promettente, in particolare nel dolore neuropatico, grazie alla loro azione sui recettori cannabinoidi presenti nelle fibre nervose afferenti.

Questo evidenzia come il trattamento del dolore in questa patologia sia una questione complessa, che richiede approcci mirati e personalizzati. A questo riguardo sono state proposte anche strategie utili a modulare il sistema endocannabinoide che risente, oltre che dell’attività fisica ed alimentazione equilibrata, anche dell’assunzione di integratori specifici, terapie come l’agopuntura, osteopatia, meditazione e gestione dello stress. Attraverso tecniche di rilassamento, mindfulness, terapia cognitivo-comportamentale o attività ricreative è possibile ridurre infiammazione e reazioni emotive negative ottenendo importanti risultati.

Oggi esistono integratori in commercio dedicati al trattamento delle neuropatie, tra essi la Palmitoil-Etanol-Amide (PEA) analogo dell’anandamide (endocannabinoide naturale) che mostra diverse funzioni: inibisce la degranulazione dei mastociti e l’attivazione della microglia modulando sia la neuroinfiammazione che il dolore nocicettivo.

La Transpolidatina, precursore del resveratrolo ha forte azione anti-angiogenica e anti-infiammatoria.

La chirurgia rappresenta un’importante opzione terapeutica ma non è priva di limiti e svantaggi. Nonostante possa essere risolutiva in alcuni casi, comporta un alto rischio di recidiva (40-50% entro cinque anni), e l’asportazione delle lesioni ovariche può ridurre la riserva follicolare, influenzando negativamente la fertilità.

Queste osservazioni sottolineano che la gestione dell’endometriosi è ancora in fase di ricerca, e che le terapie disponibili sono più orientate al controllo dei sintomi piuttosto che alla cura definitiva della malattia. Allargare il nostro intervento modificando lo stile di vita, riducendo l’infiammazione, modulando il microbiota sono strategie oggi necessarie per dare un supporto e una qualità di vita migliore alle donne che presentano questa patologia.